«Sono risorto grazie a un chip nel cervello. Non condivido tutto quello che dice Musk ma per me è un eroe». Parla il primo paziente di Neuralink
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«Per un attimo avevo pensato di farla finita, fare un sorso e chiuderla lì. Non l’ho fatto, ma in un certo senso sono comunque risorto. Spiritualmente, fisicamente, intellettualmente». È a tutti gli effetti una parabola la descrizione che Noland Arbaugh fa del suo percorso. Fino alla prima età adulta, la sua vita non è stata molto diversa da quella di molti altri ragazzi della sua generazione. Poi è arrivato l’incidente, a causa del quale ancora oggi è paralizzato dal collo in giù. Otto anni dopo, è diventato il primo paziente al mondo a ricevere un’interfaccia di Neuralink, la società di Elon Musk che ha l’obiettivo di collegare il cervello ai computer per trasferire informazioni e dare la possibilità di comandare le macchine con la sola forza della mente. A poco più di un anno dall’operazione è nel soggiorno di casa sua. Il sole filtra dalla finestra mentre racconta la sua storia.
L’incidente
Nel 2016, Noland aveva 22 anni e la voglia di viaggiare da un continente all’altro, facendo «lavoretti qua e là» dedicandosi allo sport e agli amici. L’incidente è arrivato in un giorno d’estate in Pennsylvania. Tuffandosi in un lago si è scontrato con un amico. Ancora oggi Noland non ha completamente chiara la dinamica. Ma sa di aver subito un colpo dietro al collo. «Ricordo di essermi svegliato faccia in giù nell’acqua, incapace di muovermi. Ho subito capito di essere paralizzato», racconta a Open. «Pensavo di farla finita. Ma in quel momento una bagnina mi ha ripescato», spiega con serenità. La serenità è una condizione costante nella vita di Noland. Non l’ha abbandonato quasi mai. Né quando ha scoperto che a causa dell’incidente è rimasto paralizzato dal collo in giù, né quando è entrato in sala operatoria e si è consegnato nelle mani dei chirurghi, che gli hanno impiantato nel cranio un chip in grado di leggere le sue onde cerebrali e convertirle in segnali che grazie al Bluetooth viaggiano al computer da cui si è collegato per l’intervista. È questa la magia di Neuralink. Elon Musk ha fondato la società nel 2016, frustrato dalla lentezza con cui all’epoca svolgeva le azioni quotidiane sul proprio iPhone. All’epoca, l’obiettivo era collegare la mente umana a quella artificiale. Oggi è restituire alle persone le abilità e l’indipendenza che hanno perso. Sia quella di muoversi, sia quella di vedere, sia quella di sentire. Dopo Noland, altre due persone hanno accettato di fare da cavia per l’impianto. La seconda sei mesi fa, e la terza all’inizio del 2025. Entrambe hanno preferito rimanere anonime.
«Volevo essere indipendente, ma non lo sarò mai più»
Oggi Noland ha 30 anni e vive con i suoi genitori nella casa dov’è cresciuto a Yuma, una polverosa città dell’Arizona a pochi chilometri dal confine con il Messico. Ha bisogno di loro e di suo fratello per la maggioranza delle attività quotidiane. Alzarsi dal letto, mangiare, bere, lavarsi, viaggiare. Della sua vita prima dell’incidente, gli manca «la libertà di vivere senza programmare tutto, senza dover dipendere da nessuno». Gli manca anche lo sport, ma la rinuncia più grande è un’altra e si commuove quando la confessa: «So che non sarò mai un padre e un marito, non avrò mai una famiglia. Questo è l’unico motivo per cui ho pianto dopo l’incidente».
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«Ho visto le mie onde cerebrali»
A dirgli dell’esperimento di Neuralink è stato un vecchio amico. «Quando l’ho saputo non sono scoppiato di felicità – racconta – però ho pensato: “Perché no?”». Le candidatura erano aperte da poco quando ha presentato la sua, all’inizio del 2023. Ci sono voluti mesi di attesa e poi mesi di test prima di entrare in sala operatoria nel gennaio del 2024. «L’aria era elettrica. Tutti erano preparatissimi». I chirurghi hanno impiantato sotto il suo cranio un dispositivo grande come circa come una moneta. Collegati a esso ci sono 64 piccoli fili, a loro volta dotati di oltre mille elettrodi in grado di leggere l’attività dei neuroni. Finita l’operazione, Noland ha provato subito l’impianto, che lui ama chiamare Eva. «Mi hanno dato un tablet su cui si vedevano le mie onde cerebrali, e mi hanno chiesto di provare a muovere il dito. Ovviamente io il dito non lo posso muovere, ma, ogni volta che pensavo di farlo, vedevo un picco nei grafici. Una linea gialla che schizzava in alto. It was the coolest thing».
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L’incontro con Elon Musk
Dopo l’intervento, Noland si è trovato davanti il fondatore di Neuralink, patron di Tesla e proprietario di X, Elon Musk. I due si sono visti altre volte a qualche evento, e Noland ha un tuffo al cuore ogni volta che l’imprenditore lo menziona, soprattutto da quando il suo nome salta fuori nelle conversazioni con il presidente degli Usa Donald Trump. «Musk sarà per sempre un eroe per me», afferma convinto. Difficile non notare la maglia che indossa: sul petto una bandiera a stelle strisce, incorniciata da un arco su cui campeggia la scritta: 20 gennaio 2025, il giorno del secondo insediamento di Trump alla Casa Bianca. Gli chiedo se le ultime uscite di Musk, gli ammiccamenti all’estrema destra, la prevaricazione degli altri dipartimenti governativi, hanno cambiato l’opinione che ha di lui. «Musk ha fatto grandi cose per me e sta cercando di migliorare la vita di moltissime persone. Ma non per questo sono d’accordo con tutto quello che fa o dice».
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«Non avevo mai privacy»
Oggi l’interfaccia Neuralink consente a Noland di adoperare un computer usando solo la sua mente. Con il pensiero dirige il puntatore del mouse, e decide se usare il tasto destro o il tasto sinistro. Il sistema può essere connesso anche a un telefono e a una Nintendo Switch. Ma ci sono stati momenti in cui tutto questo è stato messo in discussione. «Subito dopo l’operazione i fili hanno iniziato a muoversi intorno al mio cervello. Alcuni si sono staccati mentre altri si sono spinti più in fondo. I segnali che il chip riusciva a leggere erano sempre meno. Dopo un mese, il danno era così grave che non riuscivo nemmeno a muovere il cursore sullo schermo». «È stato uno dei momenti più difficili della mia vita. Ho cercato di convincere i medici e i tecnici a farmi un’altra operazione. Ma gli esperti del Barrow, il centro neurologico dove Noland si è operato, hanno deciso di provare a rimediare senza toccare fisicamente l’impianto. Con i tecnici di Neuralink hanno fatto delle modifiche al software. E in circa un mese Eva ha ripreso a funzionare meglio di prima».
«Neuralink mi ha reso una persona migliore»
Grazie all’impianto, Noland può fare cose che per la maggior parte delle persone sono banali. Ma per lui la differenza rispetto a prima è enorme. «L’indipendenza che mi dà è eccezionale. Posso mandare messaggi, scrivere email, usare i social, giocare». Prima di Neuralink, doveva dettare i messaggi che voleva inviare a qualcuno che lo aiutasse, quantomeno premendo il tasto per attivare la registrazione delle note vocali. «Non avevo mai privacy». «Con Neuralink, ho riallacciato i rapporti con persone che per anni non ho mai sentito. Mi ha reso un amico migliore. Ma mi ha anche permesso di studiare e di imparare». Mi chiede di condividere lo schermo nella videochiamata – tra Milano e Yuma ci sono quasi 10 mila chilometri e otto ore di fuso orario. Mi mostra quello che sta leggendo in questo periodo. Ci sono saggi umanistici, libri di storia e testi religiosi. In maniera non sempre fluida ma certamente determinata, muove il cursore e il catalogo degli ebook scorre tra di noi.
Il sogno? Una Tesla modificata, e un robot
Allo stesso tempo, ci sono tantissime cose che Noland ancora non può fare. In alcuni casi Neuralink potrebbe aiutarlo, ma non sempre il percorso da seguire è lineare. «Mi piacerebbe poterlo collegare alla sedia a rotelle. Ma non è facile rispettare gli standard imposti dalla Food and Drugs Administration (Fda)». Una sedia a rotelle è certamente meno complessa di un pc, ma i parametri di sicurezza sono molto diversi. «Basterebbe un comando sbagliato per finire sotto una macchina», esemplifica Noland. Ma il sogno è un altro: «Se potessi collegare il chip a una Tesla modificata in modo che sia accessibile per me, o a un robot», potrei risolvere molti altri problemi. Non avrei bisogni di assistenza per tutte le funzioni e i bisogni fisici.
La fine di Neuralink
Allo stesso tempo, Noland sa che la società di Elon Musk non è tenuta ad accogliere le sue richieste. Ogni promessa potrebbe essere interpretata come un incentivo a continuare l’esperimento, inficiandone il rigore scientifico. Finito il test non è chiaro cosa succederà. Ma, secondo i piani, Noland non potrà più godere dell’impianto. «So che prima o poi accadrà, ma non mi preoccupa. Ho vissuto la mia vita da tetraplegico prima di Neuralink, la vivrò di nuovo in futuro. Neuralink non è il mio unico scopo nella vita. Non è l’unica cosa che mi dà gioia, e non è l’unico motivo per cui mi alzo dal letto la mattina. È un enorme vantaggio. Ma senza penso che troverò dei modi per rendermi comunque utile».
Un futuro in politica?
Continuerò a battermi per aiutare le persone nella mia situazione. E a parlare in pubblico. Mi piacerebbe anche entrare in politica un giorno». I piani non mancano e la vita va avanti, con o senza Neuralink. Solo anni dopo l’incidente, Noland ha parlato con la bagnina che l’ha tirato fuori dall’acqua. Lei si sentiva in colpa. Pensava che lui avrebbe preferito rimanere a faccia in giù nel lago. «Le ho detto che si sbagliava, non le sarò mai grato abbastanza per avermi salvato la vita. Evidentemente era questo il mio destino. E più lo percorro più mi rendo conto che divento una persona migliore».