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Putin risponde sulla tregua in Ucraina: «Solo con proposte per una pace duratura. Servono altri incontri con gli Usa». Trump: «Ci parleremo»

13 Marzo 2025 - 17:03 Ugo Milano
putin tregua ucraina
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Il leader del Cremlino ribadisce il no assoluto all'Ucraina nella Nato. Stasera l'incontro con l'inviato degli Usa Steve Witkoff. Trump: «Risposta promettente»

Rispetto alla tregua in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ribadisce quanto affermato in precedenza dal consigliere per la politica estera Yuri Ushakov. «Dovrebbe essere tale da portare a una pace a lungo termine e affrontare le cause di fondo del conflitto», ha affermato il leader del Cremlino in una conferenza stampa con insieme al presidente bielorusso Alexandr Lukashenko, senza chiarire quali sono le condizioni a cui fa riferimento, ma anticipando un nuovo colloquio con il presidente degli Usa Donald Trump. In precedenza, Mosca si era schierata contraria alla proposta di un cessate il fuoco perché «servirebbe solo a Kiev per riprendere il fiato». Tuttavia, il no fatto diramare dal consigliere per la politica estera Yuri Ushakov non era ufficiale. Stasera l’inviato speciale degli Usa Steve Witkoff è atteso a Mosca per proseguire i negoziati.

Il commento di Trump: «Posizione della Russia promettente, ma incompleta. Parlerò con Putin»

Poco dopo la conferenza stampa di Putin, il presidente degli Usa Donald Trump ha risposto all’omologo russo, annunciando che gli «piacerebbe» incontrarsi e parlare. Colloquio necessario, dato che secondo l’inquilino della Casa Bianca la posizione di Mosca è «molto promettente», ma «non completa». Trump si augura che la Russia non faccia passi indietro, nel caso dei quali «il mondo» si troverebbe in una situazione «molto deludente». Ad ogni modo, ha aggiunto Trump in un intervento al fianco del segretario generale della Nato Mark Rutte in visita a Washington, «non penso che la Russia attaccherà altri alleati. Ci assicureremo che non accada».

Il no all’Ucraina nella Nato

Le parole del consigliere non avevano lasciato spazio a molte speranze. Ma la posizione espressa era riassumibile nel seguente messaggio, simile a quello lanciato da Putin: se ci sarà pace, che sia una pace duratura. Il che significa, per citare una delle maggiori pretese del Cremlino che Mosca si siederà al tavolo delle trattative solo tenendo fermo il «no» categorico all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Una sicurezza che, a quanto ha detto Ushakov, è condivisa «da noi e dagli americani nel contesto della soluzione ucraina e del suo futuro». Intanto Steve Witkoff, inviato speciale del presidente americano Donald Trump, è già atterrato a Mosca per riprendere di persona i colloqui con il Cremlino.

Mosca e la richiesta agli Usa: «La nostra posizione sia ascoltata»

Rimane ancora tutto nell’ambito dei se e dei forse. «Probabilmente», questa la parola usata da Yuri Ushakov, sarà Putin in persona a parlare oggi e annunciare la decisione di Mosca riguardo alla proposta avanzata dall’omologo ucraino Volodymyr Zelensky. «Vladimir Putin darà valutazioni più specifiche e significative», ha confermato poi il braccio destro del presidente russo confermando quanto siano sottili le speranze di un voltafaccia da parte del Cremlino. Il martello dei russi da giorni ormai batte sul medesimo punto: la necessità di avere garanzie riguardo al fatto che saranno ascoltate tutte le parti in causa e non solo quella ucraina. «Abbiamo parlato (con gli Stati Uniti, ndr) a diversi livelli, anche a livello di presidenti, e loro conoscono la nostra posizione. Mi piacerebbe credere che la posizione verrà presa in considerazione nel corso di ulteriori lavori».

Zelensky contro Putin: «Vuole prolungare la guerra»

Intanto da Kiev Zelensky mette fretta: «Il mondo deve ancora sentire una risposta significativa dalla Russia alle proposte avanzate», ha scritto il presidente ucraino sul social X. L’ennesima dimostrazione, secondo lui, di come «la Russia cerchi di prolungare la guerra e posticipare la pace il più a lungo possibile». L’augurio è che la pressione di Washington su Mosca paghi dazio, in particolare dopo «il dialogo costruttivo» di martedì 11 marzo tra la delegazione di Kiev e quella della Casa Bianca in Arabia Saudita. Ha poi specificato che sono stati gli Stati Uniti in prima persona a insistere perché il cessate il fuoco fosse esteso anche alla terraferma, e non limitato a terra e aria. Intanto però, sul campo di battaglia, la situazione si fa complicata.

La ritirata dal Kursk

«La regione del Kursk presto sarà liberata». Le voci insistenti degli ultimi giorni, che parlavano di una ritirata progressiva delle forze ucraine, sono ora confermate. La regione simbolo della controffensiva di Kiev sta per cadere nuovamente nelle mani del Cremlino, con l’aiuto delle truppe inviate dall’alleato nordcoreano. «Il comando del gruppo di truppe Nord ha riferito al presidente russo Vladimir Putin che sono entrati nella fase finale dell’operazione per liberare il territorio della regione di Kursk dalle forze armate ucraine», ha confermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. E ora il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in Arabia Saudita tramite i suoi emissari sembra essere riuscito a trovare un punto di contatto con Washington, ha una carta in meno da poter giocare al tavolo delle trattative.

Il conflitto nel Kursk, la sorpresa e la risposta russa

Sette mesi di combattimenti feroci, dallo scorso 6 agosto a oggi, per «ristabilire la giustizia». Quei quasi 1.400 chilometri quadrati e quei 100 villaggi solo dieci anni fa, durante il conflitto nel 2014, la Russia aveva sottratto all’Ucraina. Una mossa inaspettata, che aveva colto di sorpresa Mosca aprendo un nuovo fronte di battaglia. Azione per il morale e diversiva, con cui Zelensky sperava di distogliere una parte delle truppe russe dal fronte interno. Ora, però, l’Ucraina sembra costretta ad alzare bandiera bianca. Le forze del Cremlino, con l’appoggio degli uomini inviati dalla Corea del Nord grazie al sodalizio tra i presidenti Vladimir Putin e Kim Jong-Un, hanno accerchiato l’esercito di Kiev. Una delle ultime roccaforti ucraine, la cittadina di Sudzha, è stata riconquistata da Mosca. E ieri, mercoledì 12 marzo, lo stesso Putin in tenuta militare ha certificato l’avanzata russa visitando la regione. Il messaggio a Kiev è chiaro: c’è il piano dei negoziati, che sembra iniziare a sorridere a Kiev, e c’è il piano della battaglia.

L’«arma di scambio» persa da Zelensky

Il messaggio del presidente russo ai suoi soldati è stato semplice e conciso: finire il lavoro il prima possibile. Anche perché, con il tavolo di pace che sembra una prospettiva sempre più concreta, togliere il Kursk a Zelensky significa privarlo di un’arma di contrattazione. Lo stesso presidente ucraino, secondo alcuni suoi funzionari, aveva giustificato l’offensiva nella regione russa come la possibilità di conquistare una merce di scambio da cedere al Cremlino in cambio dei territori ucraini ora in mano ai russi. E invece la prima invasione in Russia dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale si è conclusa, così pare, in un nulla di fatto. A dare manforte a Kiev in fase di trattative, ora, può subentrare solo Washington. Il cessate il fuoco proposto ieri dall’Ucraina sembra aver trovato orecchie disponibili nella Casa Bianca, tanto che Donald Trump ha subito rivolto le sue minacce al Cremlino. Rimane da capire quanto siano concrete.

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